Onorevoli Colleghi! - Siamo a un passaggio di grande rilevanza per quel che riguarda la modifica della normativa vigente in tema di politiche migratorie. A partire dall'affermazione de L'Unione alle elezioni politiche scorse, infatti, si è aperto un dibattito pubblico segnato dalla necessità di realizzare un cambiamento strutturale delle politiche sull'immigrazione, mentre il Governo ha costruito un importante percorso di confronto con regioni, enti locali, attori sociali, associazioni e migranti.
In questo quadro, ormai in prossimità della presentazione del disegno di legge delega del Governo, si colloca la nostra proposta di legge. Essa vuole rappresentare un contributo al dibattito parlamentare che si svilupperà sul testo del Governo. Al contempo, essa vuole contribuire
La ratio della proposta di legge
La logica della nostra proposta di legge è la stessa che è sottesa ed esplicitata nel programma de L'Unione, il cui contributo innovativo si basa su un intreccio di nodi analitici e propositivi.
Da un lato, un assunto di fondo. Ci troviamo di fronte non ad una «emergenza», ma a processi strutturali di lungo periodo, determinati dalle disuguaglianze a livello planetario e dall'accresciuta mobilità delle persone. Parlare di migrazioni significa in quest'ottica parlare prima di tutto di donne e di uomini che stanno cercando di costruire propri percorsi di vita, non determinati dalla condizione che il destino ha dato in sorte a ciascuno. I diritti di queste persone devono essere criterio fondante delle politiche migratorie, in linea con quanto ci ricorda l'articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
A questo assunto di fondo se ne associa un altro più «empirico», che attiene al bilancio delle politiche sin qui seguite.
È noto come dal 1986 ad oggi siano intervenute cinque sanatorie (1986, 1990, 1995, 1998, 2002), che hanno regolarizzato un milione e mezzo di persone; al 2003 - anno in cui si sono registrati gli effetti dell'ultima regolarizzazione - oltre il 70 per cento degli stranieri regolari in Italia risultava beneficiario di un provvedimento di sanatoria. Nonostante gli investimenti massicci sul terreno della repressione - va ricordato che in questi anni lo Stato italiano ha speso l'80 per cento delle risorse per azioni di contrasto, espulsioni, detenzioni, rimpatri, e solo il 20 per cento per misure e progetti di inserimento sociale - la stragrande maggioranza degli immigrati sono entrati come clandestini, o comunque hanno vissuto un periodo più o meno lungo di irregolarità.
La vera politica sull'immigrazione è stata dunque un mix di proibizionismo - con i correlati proclami propagandistici per «tranquillizzare» l'opinione pubblica - e di periodiche sanatorie.
Il bilancio è quello di un meccanismo assolutamente ipocrita e inefficace rispetto agli obiettivi dichiarati, ma che ha viceversa prodotto e alimentato clandestinità e tragedie dai costi umani elevatissimi. Com'è noto, infatti, la percentuale di migranti che arrivano clandestinamente via mare è estremamente ridotta (minore del 10 per cento), ma le tragedie che si consumano sono enormi.
La proposta di legge in dettaglio
1. Rendere possibile e conveniente l'ingresso legale.
La programmazione degli ingressi per come è sin qui avvenuta ha significato di fatto l'impossibilità di entrare legalmente nel nostro Paese: quote irrisorie rispetto agli stessi fabbisogni del mercato del lavoro, e un meccanismo, come quello della chiamata nominativa su estero, per cui i datori di lavoro avrebbero dovuto assumere «a distanza» persone che non conoscevano.
È centrale, rispetto all'ingresso, la possibilità dell'incontro diretto fra domanda e offerta di lavoro.
Nella presente proposta di legge prevediamo anzitutto una programmazione dei flussi molto più ampia e realistica di quanto fin qui avvenuto. Le quote devono tenere conto delle dinamiche del mercato del lavoro, come anche dei processi migratori effettivi. Si tratta, tra l'altro, di due fattori oggi in equilibrio: si stima in circa 250.000-300.000 il numero di persone che ogni anno entrano - regolarmente o meno - in Italia, un numero corrispondente ai fabbisogni del mercato del lavoro e alle dinamiche demografiche.
Per altro verso è centrale la previsione di poter entrare per «cercare lavoro» anche senza avere, cioè, un datore italiano che abbia effettuato un'assunzione dall'estero. Anche in questo caso si tratta di far diventare norma quanto avviene nella realtà. Nella nostra proposta di legge, che segue fedelmente le indicazioni del programma de L'Unione, l'ingresso per ricerca di lavoro è legato alla dimostrazione di un certo livello di garanzie economiche.
È cosa nota che chi decide di emigrare organizza la propria scelta, costruisce un suo percorso.
Oggi, in particolare, per chi viene dall'altra sponda del Mediterraneo (che è solo il 10 per cento dell'immigrazione clandestina) non esiste altra possibilità che mettere
2. Rendere meno precaria la presenza dei migranti in Italia.
Attualmente, persino i migranti già arrivati in Italia, e che soggiornano in modo regolare, sono assoggettati a una condizione di precarietà intollerabile.
Se è pressoché impossibile, per un cittadino o una cittadina stranieri, entrare legalmente nel nostro Paese, o regolarizzare la loro posizione quando sono «clandestini», è invece molto facile perdere il permesso di soggiorno quando lo si è già ottenuto: le condizioni per il rinnovo sono spesso irrealistiche, o comunque molto difficili da soddisfare. Stranieri da lungo tempo residenti in Italia, e ormai stabilmente inseriti, vengono trattati come persone appena arrivate, e assoggettati a controlli continui e spesso vessatori. I permessi di soggiorno hanno tempi di validità molto brevi, e al momento del rinnovo non possono essere rilasciati con una durata superiore rispetto a quella del primo rilascio: così, i migranti sono costretti a presentarsi più volte in questura, incrementando file e tempi di attesa. Se si perde il lavoro o si viene licenziati - cosa che accade frequentemente, data la progressiva precarizzazione del mercato del lavoro - si finisce per perdere anche il permesso di soggiorno: oggi, con la legge «Bossi-Fini», si può rimanere in Italia per non più di sei mesi.
Noi vogliamo de-precarizzare la condizione di vita dei migranti. A un mercato del lavoro che offre opportunità quasi esclusivamente a tempo determinato non possono corrispondere permessi di soggiorno rigidamente ancorati a tali contratti. Proponiamo il rilascio di un permesso per un anno allo straniero che abbia contratti di lavoro a tempo determinato inferiori a sei mesi, e di permessi di durata biennale per contratti più lunghi. Chi è assunto a tempo indeterminato avrebbe, nella nostra proposta di legge, un permesso di soggiorno per tre anni (attualmente sono al massimo due). Chi rimane senza lavoro, o il soggetto a cui scade il contratto di lavoro a tempo determinato, avrebbe diritto a un permesso di durata annuale, per attesa di occupazione, prorogabile una sola volta in presenza di adeguati mezzi di sussistenza.
Dopo cinque anni di permanenza in Italia, il cittadino e la cittadina stranieri devono aver diritto alla «carta di soggiorno» (cioè ad un documento a tempo indeterminato). Accanto alla «carta di soggiorno europea»,
3. Regolarizzare chi lavora.
Con le norme attualmente in vigore nessun cittadino o cittadina stranieri irregolari può ottenere il permesso di soggiorno: nemmeno se ha un lavoro e se dimostra di possedere tutti i requisiti per poter rimanere in Italia. In questi anni, un simile «divieto generale di regolarizzazione» ha prodotto i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Sono ormai numerosissime, per esempio, le famiglie che affidano il lavoro domestico - ma anche la cura di anziani e di bambini - a migranti, spesso donne, costrette ad essere «clandestine», che rischiano di essere espulse, prive di ogni diritto, a cominciare da quello di poter tornare periodicamente e alla luce del sole alla propria famiglia e agli affetti del Paese di provenienza. Eppure a loro affidiamo la cura dei nostri parenti più stretti.
Ovviamente la modifica delle norme sugli ingressi ha l'obiettivo di diminuire considerevolmente l'area dell'immigrazione «clandestina»: tuttavia, non possiamo pensare che norme anche sensibilmente migliori possano eliminare del tutto l'irregolarità, e non esiste un motivo ragionevole per impedire che chi ha comunque costruito un proprio percorso di inserimento nella società italiana non possa accedere a meccanismi di regolarizzazione.
La nostra proposta di legge prevede sia la possibilità di regolarizzarsi consensualmente con il proprio datore di lavoro (senza penalizzazioni nel caso in cui questo sia una famiglia e non esista fine di lucro nell'assunzione irregolare del migrante); sia la regolarizzazione per denuncia o accertamento di lavoro nero; sia, infine, su valutazione di una commissione territoriale composta dal prefetto, dal questore, dalle organizzazioni sindacali e datoriali, dalle associazioni di tutela. Sono tutti strumenti presenti nel programma de L'Unione. Nel caso di denuncia di lavoro nero o di sfruttamento del lavoro dei migranti si tratta di fare un passo avanti rispetto alla modifica dell'articolo 18 del vigente testo unico, già proposta dal Governo, svincolandolo dal legame con la tratta e dunque dalla previsione che la regolarizzazione possa scattare solo in caso di «pericolo concreto e attuale per l'incolumità della persona».
Il programma dell'Unione, del resto, prevedeva che occorresse «concedere un permesso di soggiorno ad ogni immigrato che denunciasse la propria condizione di lavoro irregolare».
Il complesso di queste misure avrebbe come conseguenza non solo di tutelare i diritti dei lavoratori migranti, ma anche di rafforzare i diritti di tutti i lavoratori eliminando i meccanismi di concorrenza al ribasso. Lo svuotamento delle sacche di lavoro e di economia sommersa significa, inoltre, eliminare uno dei fattori principali di attrazione di flussi migratori irregolari, riportando a legalità il funzionamento del mercato del lavoro nel nostro Paese.
4. Allontanamento dal territorio.
Quando parliamo di immigrazione, l'associazione automatica è agli «sbarchi» di cittadini stranieri sulle coste italiane, in particolare nel sud del nostro Paese. Nonostante il risalto mediatico che viene attribuito a questo fenomeno, è noto che esso non rappresenta che il 10 per cento degli ingressi irregolari.
5. Trasferimento delle competenze sul rinnovo dei permessi di soggiorno agli enti locali.
Le competenze sul rinnovo dei permessi di soggiorno sono trasferite agli enti
6. Eliminare le discriminazioni sociali.
La proposta di legge che presentiamo tecnicamente prevede la riscrittura integrale di tutti gli articoli da 1 a 33 del vigente testo unico, e l'abrogazione delle modifiche introdotte dalla legge «Bossi-Fini» per quel che riguarda gli articoli da 34 a 46, ritornando in questo caso alla legislazione precedente.
Questa scelta è motivata da due ragioni di fondo. La prima è relativa al fatto che si è ritenuto urgente intervenire sulla parte che ha in questi anni causato maggiori iniquità e distorsioni (ossia quella relativa agli ingressi, ai permessi di soggiorno e alle espulsioni), mentre gli articoli da 34 a 46 in molte loro parti contengono indubbiamente norme avanzate, il cui limite è stato semmai lo scarso seguito che hanno avuto in termini di concreta attuazione.
La seconda motivazione risiede nel fatto che tuttavia proprio sugli articoli da 34 a 46 del testo unico, che riguardano il concreto accesso ai diritti di cittadinanza sociale (sanità, assistenza, formazione, politiche abitative), sono necessari interventi fortemente intrecciati con le politiche generali di welfare e che riordinino complessivamente il quadro normativo. Si tratta, in sostanza, una volta riscritti i princìpi generali relativi all'ingresso e al soggiorno, di aprire la grande e centrale partita della ridefinizione dello Stato sociale nel nostro Paese, come di ripensare, per fare un esempio, a una scuola che non sia aggiuntivamente attenta ai problemi posti dalla presenza di bambini stranieri, ma che si ridefinisca sul terreno della promozione dell'uguaglianza e, insieme, della valorizzazione e del dialogo fra culture. Un compito complesso che riguarda in realtà la vera posta in gioco in una situazione in cui sono ormai milioni i nuovi cittadini, destinati a crescere significativamente nei prossimi anni, e che non poteva essere svolto senza il necessario approfondimento.
Su due aspetti, relativi a questi temi, interveniamo tuttavia da subito nel corpo della proposta di legge.
Il primo aspetto sancisce il diritto delle cittadine e dei cittadini stranieri a partecipare ai concorsi e alle selezioni per l'accesso al pubblico impiego.
Il secondo aspetto prevede la possibilità già contenuta nella legge n. 40 del 1998, di restituzione dei contributi pensionistici versati, in caso di ritorno in patria prima dell'età pensionabile per quei Paesi con i quali non esistono accordi che consentono la totalizzazione dei contributi, ponendo fine a un evidente furto ai danni dei lavoratori immigrati e creando anche per questa via un incentivo alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro.
7. Diritto di voto e ratifica della Convenzione ONU.
In ultimo, la nostra proposta di legge riprende quella dell'Associazione nazionale dei comuni italiani in materia di diritto di voto attivo e passivo per le elezioni amministrative e regionali, che viene acquisito dopo cinque anni di soggiorno regolare in Italia. La proposta di legge, nei princìpi guida, indica anche la Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, adottata il 18 dicembre 1990. La Convenzione ONU non è stata ancora ratificata dall'Italia, ma rappresentava uno degli impegni del programma de L'Unione a cui crediamo si debba dare coerentemente seguito come richiesto da moltissimi soggetti associativi, a cominciare dalle organizzazioni sindacali.